Lo scrittore è il perfetto menzognero: scrive bugie e riesce a farti credere che siano vere.

05/09/25

Il diritto a essere infelici

Discussione sentita al bar, involontariamente (certo che mettessero i tavolini meno appiccicati, sarebbe meglio!).

Amica 1: penso che comincerò a prendere dell’iperico.
Amica 2: perché?
A1: perché ho scoperto che aiuta a convivere meglio sentimenti come malinconia e tristezza, ad accettarli per quello che sono senza sensi di colpa.
A2: se sei depressa devi andare da uno specialista.
A1: non sono depressa.
A2: allora sei felice.
A1: non sono felice ma non sono nemmeno depressa.
A2: allora devi andare da uno psichiatra, uno bravo.

Non sapete quanto mi sono ritrovata in questa conversazione!
È più o meno da tutta la vita che mi sento dire cose come queste. Sembra che non esista, in una società malata come questa, il diritto a essere infelici.
Infelici, malinconici, tristi, mettetela come volete.
Siamo bombardati da social media, televisione e forme d’arte che inneggiano alla felicità assoluta. Se non sorridi sempre, non va bene.
Se soffri, sei malato (di mente, si intende).
Se sei triste, devi farti curare.

E così, facendo delle ricerche per conto mio giusto per capire se sono io quella che è sempre in torto, ho trovato un sacco di articoli interessanti fra qui questo, di cui vi riporto sotto uno stralcio:

La felicità, riprendendo le parole del celebre Russ Harris, è una trappola. 
Sin da piccoli siamo stati educati a essere in grado di dominare e controllare le nostre emozioni e infinite volte ci siamo sentiti ripetere frasi come: “Tirati su!”, “Non essere triste!”, “Sii positivo!”, sperimentando in altrettante occasioni come, in realtà, abbiamo molto meno controllo di quanto vorremmo su sentimenti e pensieri. 
E non c’è assolutamente nulla di sbagliato in questo: la sofferenza è connaturata al nostro esistere come esseri umani.
Il paradosso, così come ci insegna la terapia cognitivo-comportamentale ACT (Acceptance and Commitment Theory), è rappresentato dal fatto che più cerchiamo di lottare per annullare e respingere la tristezza, evitandola, più la stessa acquista potere e aumenta, generando un incremento esponenziale della nostra sofferenza. 
Così come accade in ogni forma di dipendenza di sostanze o in varie manifestazioni di disagi psichici, come quelli che definiscono il disturbo ossessivo-compulsivo, la psicopatologia si rivela molto spesso essere la risultante del tentativo disperato e infruttuoso di schivare l’esperienza di sensazioni inevitabili e umane quali la tristezza, l’ansia, il dolore.
La rincorsa spasmodica alla felicità e il desiderio di controllo sulle nostre emozioni ci conducono per mano all’interno di una gabbia, all’interno della quale ci sentiamo dominati da sentimenti di inadeguatezza nei confronti di noi stessi e degli altri. 
La cultura dell’ottimismo veicolata da Internet e dai social network ci fa sentire inadeguati nei confronti di vite perfette e felici, di lavori dei sogni, di standard estetici inverosimili e irraggiungibili.

E allora? 
Tanto per cominciare, mi rasserena sapere che non sono io, né tanti altri che la pensano come me, ad avere bisogno di uno specialista.
E per concludere, vi lascio con un pensiero di Leonardo Sciascia: l’infelicità è una condizione necessaria all’intelligenza.
Pensateci su!