Lo scrittore è il perfetto menzognero: scrive bugie e riesce a farti credere che siano vere.

26/09/20

L'importanza della solitudine

Buongiorno a tutti, finalmente siamo in pieno autunno!
Prima di parlare della solitudine, l'argomento di questo post, voglio invitarvi a leggere la recensione del libro Le voci delle donne, che ho scritto insieme a Ofelia De Ville, fatta da Mary e Vale del blog La valigia di carta.

E ora discutiamo un po'.
C’era una volta la solitudine, poi sono arrivati internet e i social media che hanno esasperato il concetto aristotelico secondo cui l’uomo è un animale sociale intrappolando per persone in rapporti che durano forzatamente ventiquattrore su ventiquattro, sette giorni su sette.
Se non sono i social, c’è la televisione, il telefono, il sito, il blog, gli amici su whatsapp, le chat...
Insomma, che ci piaccia o no fuori ma soprattutto dentro le mura di casa siamo bombardati da continui contatti.
Sembra che se non si forma un gruppo, una massa o peggio ancora un branco, si diventi in automatico persone anomale.

E la solitudine, dov’è andata a finire?
Dov’è quel magico spazio della mente e della fisicità in cui siamo finalmente soli, distaccati da tutto ciò che ci circonda, dove non dobbiamo rendere conto di niente a nessuno e fare ciò che più ci aggrada, che ci fa stare bene?
Dov’è quello spazio necessario per la creazione di un’opera, per il concepimento di un pensiero o semplicemente per una piccola coccola da dedicare a se stessi?

Personalmente io amo molto la solitudine, un po’ perché è sempre stata la mia dimensione naturale e soprattutto perché in essa riesco a lavorare, ad avere le mie idee migliori.
Non mi spaventa lo stare sola, il distaccarmi dalle altre persone, ritagliarmi un angolo fatto di silenzio e di pensieri propositivi.
Per me la solitudine è vitale, è un filtro necessario attraverso cui osservare l’universo.
È la dimensione in cui mi realizzo meglio.
Eppure so di essere una mosca bianca e quindi mi domando se tutti questi rapporti forzosi e forzati non siano la dimostrazione di quanto la società odierna sia sterile e di come la maggior parte delle persone viva in un’incostante dimensione di immaturità, incapace di bastare.

Essere faccia a faccia col sé significa, per forza di cose, affrontarsi. È il cosiddetto “esame di coscienza”, che non può che giovare. Fare i conti con i propri errori porta a non commetterli in futuro. Paradossalmente, l’isolamento è una cura all’egoismo, che si manifesta nella moltitudine: ostentare per attrarre le altrui attenzioni; schiacciare gli altri per distinguersi, per cercare conferme alla propria autostima.
La solitudine è un bagno di umiltà e permette di formare una coscienza autonoma, che non ha bisogno del prossimo per reggersi. Né di aiutarlo o di essere aiutato, né di umiliarlo o di farsi umiliare da lui.
«La solitudine è la miglior cura per la vanità», affermava Thomas Wolfe, e il silenzio insegna valori trascurati al giorno d’oggi: la discrezione, il contegno, il decoro. Atteggiamenti che la maggioranza continua a stimare, sottovoce, in netta controtendenza con la volgarità chiassosa che contraddistingue quest’epoca.
La solitudine feconda permette di focalizzare gli sforzi su un obiettivo preciso. Chi ambisce a qualcosa di grande lo sa: è un percorso che s’intraprende da soli.
Anzi, gli altri fungono da pause, ostacoli allo scopo che ci si è prefissati. Che sia studio, lavoro o arte, si può contare solo su se stessi, sul sudore che si versa indipendentemente dal prossimo.
La solitudine è la dimensione del sognatore.
«La grandezza è solitaria. Si direbbe anzi che la solitudine è condizione della grandezza. Tutte le intelligenze superiori, tutte le nature superiori sono isolate, l’aquila vive sola, il leone solo», notava Iginio Ugo Tarchetti.
Similitudine, questa, espressa anche dal coevo Arthur Schopenhauer, filosofo solitario per definizione.

I wandered lonely as a cloud
that floats on high o'er vales and hills,
when all at once I saw a crowd,
a host, of golden daffodils;
beside the lake, beneath the trees,
fluttering and dancing in the breeze.
Continuous as the stars that shine
And twinkle on the milky way,
They stretched in never-ending line
Along the margin of a bay:
Ten thousand saw I at a glance,
Tossing their heads in sprightly dance.
The waves beside them danced; but they
Out-did the sparkling waves in glee:
A poet could not but be gay,
In such a jocund company.
I gazed - and gazed - but little thought
What wealth the show to me had brought:
For oft, when on my couch I lie
In vacant or in pensive mood,
They flash upon that inward eye
Which is the bliss of solitude;
And then my heart with pleasure fills,
And dances with the daffodils.
(The daffodils - William Wordsworth)